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Cervelli in fuga, la lettera-appello di un padre: ''Un futuro in Irpinia per i nostri figli''

La speranza che Stefano e altri giovani come lui, in un anniversario così triste come quello del terremoto dell’Irpinia, possano rappresentare la rinascita di questa terra meravigliosa.

Sì, lo ammetto: sono il padre di un cervello in fuga e ne soffro. Tantissimo.
Sono ormai 4 anni che mio figlio Stefano ha lasciato la sua amatissima terra, l’Irpinia, per andare a studiare fuori. Ha studiato per tre anni International Economics and Management alla Bocconi, a Milano e adesso sta facendo la specialistica in Big Data e Computer Science a Barcellona.
Sempre più lontano, sempre meno presente.
E io, suo padre, insieme a sua madre, alla sorella e a tutti i parenti e gli amici ne soffriamo molto perché si è perso e si perderà sempre di più tutti quei brevi attimi di felicità che costituiscono la vera essenza della vita. Tutti quei momenti insieme che fino a 18 anni erano una consuetudine, qualcosa di normale e a cui non facevamo caso, da 4 anni a questa parte sono diventati cosi rari che, davvero, a volte pensiamo di averlo perso per sempre.
Sono mesi che volevo far pubblicare questa lettera, questo appello o come lo si voglia chiamare.
Mesi che penso serva far sentire la testimonianza vera di un genitore come ce ne sono ormai migliaia in Irpinia e milioni in tutto il Sud Italia. Genitori senza figli.
Genitori senza figli perché sono lontano a studiare. Genitori senza figli perché sono fuori per formarsi. Genitori senza figli perché sono lontano e difficilmente torneranno in Irpinia, dalla loro famiglia, dai loro amici e dalle loro radici a cui sono così legati.
Il mio è un grido di allarme e di dolore.
Io sono un architetto, vivo e lavoro tra Conza della Campania, Avellino e il resto d’Irpinia. Sono un libero professionista e so quante difficoltà ci sono nella nostra provincia per chi cerca un lavoro, per chi non vuole scappare alla ricerca di luoghi con maggiori opportunità e forse una vita più facile.
Ma io, ormai tanti anni fa, dopo la laurea in Architettura decisi di tornare e di costruire qui il mio futuro, la mia famiglia ed il mio lavoro. Perché amavo troppo l’Irpinia, l’Alta Irpinia e perché c’era bisogno di ricostruire il mio paese dopo il terremoto del 23 novembre 1980.
Io decisi di restare e non me ne pento oggi che sono passati 32 anni.
Ma forse la situazione per noi era migliore allora, forse allora c’erano più opportunità.
Quello che noto oggi è che si sta molto peggio di prima ed i figli d’Irpinia che partono sono quindi molti di più.
Noi tutti: cittadini, professionisti, imprenditori, istituzioni dobbiamo fare molto di più perché questa provincia bellissima si sta spopolando perché tanti paesi stanno morendo ed i giovani intelligenti e talentuosi vanno via perché qui non possono fare niente.
Il mio è un appello, un monito, affinché si faccia presto qualcosa perché forse non è ancora troppo tardi.
Questa è la lettera di un padre che ha pensato di dare una voce a tanti, tantissimi, che pensano le stesse cose ma se le tengono per sé e, in silenzio, continuano a soffrire.
E ho deciso di metterla per iscritto perché proprio pochi giorni fa, il 23 novembre 2018, esattamente a 38 anni dal tragico terremoto che ha colpito l’Irpinia e ha avuto come epicentro il mio paese, Conza della Campania (coincidenza incredibile!), mio figlio si è laureato alla Bocconi in modo brillante.
E’ stata una gioia immensa e indescrivibile.
Nei giorni successivi ho riflettuto parecchio su questa coincidenza, sulle capacità di mio figlio Stefano e sul grande impegno che ha profuso per raggiungere questo traguardo davvero ambizioso.
Ed è nata all’improvviso in me una speranza.
La speranza che Stefano e altri giovani come lui, in un anniversario così triste come quello del terremoto dell’Irpinia, possano rappresentare la rinascita di questa terra meravigliosa.
23 Novembre 1980 – 23 novembre 2018
38 anni dopo la morte e la distruzione: la nascita di una speranza, di un germoglio che speriamo possa dare frutti numerosi ed abbondanti quanto prima. Perché ce n’è davvero bisogno.

Michele Carluccio, architetto.

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