L’emergenza profughi divide, divide l’opinione pubblica, divide la politica, divide i sindaci. L’emergenza profughi spaventa. Intimorisce, anima i dibattiti televisivi, intenerisce.
Dietro il flusso di immigrazione ci sono cooperative, interessi economici, traffico di persone, accordi internazionali. Rimpalli di responsabilità sensibilità e solidarietà. Un calderone in cui si mischiano valori e pregiudizi, posizioni estremiste e possibiliste in cui ognuno dice la sua spesso con superficialità. E la convinzione di essere di fronte ad un vero e proprio business, foraggiato dall’Europa, sembra prendere piede nella coscienza collettiva. Le cooperative accusate di sfruttare l’emergenza per scopi economici, di muoversi senza scrupoli nella sfera della miseria della guerra e della povertà. Le cooperative pronte a smentire e difendersi: queste persone vanno accolte e aiutate ad integrarsi con programmi articolati. Ma come si articola un programma di inserimento? Come si svolge la giornata di un profugo ospitato in un centro di prima accoglienza? Entriamo al centro allestito al piano superiore della struttura ex cupole di località Cardito ad Ariano dove, in attesa di asilo politico e documenti, risiedono 48 profughi.
Ci sono oltre 2000 profughi in provincia di Avellino spalmati su 24 comuni. I sindaci hanno puntato il dito contro la prefettura accusata di gestire l’emergenza senza coinvolgerli ed informarli. E si va avanti a suon di ordinanze di sgombero delle strutture. Uno dei fronti caldi è sicuramente l’Alta irpinia. Qui il sindaco Repole ha proceduto a sgomberare 24 immigrati assegnati dalla prefettura in stato di emergenza. Ma Sant’Angelo dei Lombardi aderisce allo Sprar e deve rimanere fuori, come dice la legge, dalle emergenze.
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