In questi giorni pensavo a don Antonio Di Stasio ... il suo sguardo mi è rimasto impresso nell’animo. La sera di venerdì 13 marzo prima di andare in ospedale mi ha rivolto l’ultimo sguardo denso di affetto, uno sguardo rassicurante che, nello stesso tempo, implorava tenerezza e attenzione.Penso allo sguardo di un sacerdote che ha vissuto con dedizione assoluta il ministero. Penso allo sguardo di Gesù ... anche tutti noi ci troveremo davanti a quello sguardo. Andiamo avanti nella vita, nella certezza che Lui ci guardi! Lui ci attende per guardarci definitivamente. Quell’ultimo sguardo di Gesù sulla nostra vita sarà per sempre, sarà eterno.È trascorso un mese del ritorno alla casa del Padre di don Antonio e nell’Eucarestia rendiamo grazie per l’intensa vita di un sacerdote amato. La sua testimonianza è di conforto, la speranza ci incoraggia, la presenza reale del Risorto nel Pane e nel Vino consacrato ci parla dell’altezza vertiginosa e sublime del ministero sacerdotale.
“Spezzare il pane della Parola e dell’Eucarestia”, pregare e soccorrere il prossimo è l’”arte” di ogni sacerdote, così come lo è stato per Don Antonio, prima come educatore nel seminario e poi come parroco nelle comunità che ha guidato con amore.La presenza eucaristica è presenza di Dio, è l'anticipazione della vita in cielo e noi siamo chiamati a vivere questa comunione con Cristo, non come una mera comunione “cultuale”, ma reale, come la Sua presenza e, in questa relazione con Lui, dobbiamo essere in comunione con il Padre, con i fratelli, con i poveri e gli scartati.Nella preghiera eucaristica che cantiamo è racchiusa questa intima storia d'amore di Dio nella vita di un sacerdote che ha amato e custodito la sua vocazione sotto lo sguardo di Maria, della Madonna di Fatima.La vita del presbitero va vissuta nel segno di questa consolazione e nella gioia di amare senza esclusivismi, con un cuore libero nel respiro feriale della nostra esistenza.
La fede nella resurrezione finale ci aiuti a valorizzare il tempo e gli anni che ci sono donati, il mondo delle relazioni, il profilo dei nostri territori, delle nostre comunità, dei volti e della fraternità presbiterale.Che cosa potremmo fare per gli uomini se il nostro sacerdozio non fosse questo servizio d'amore? Che cosa potremmo dare noi al mondo se non Dio, facendo percepire con la nostra esistenza e con la nostra prossimità che Egli ci ama? Oggi tutto ciò è ancor più urgente dove Dio non è accolto e Gesù non è visto quale compagno di viaggio come lo è stato per gli apostoli... per Don Antonio: essi vivevano,Ariano Irpino 20 aprile 20201camminavano e condividevano i giorni con Lui.
Dio nella testimonianza di vita di un sacerdote ci svela che abita la nostra umanità, con la sua vicinanza e abita con la Croce anche il nostro dolore.Dopo la sua ascesa al Padre, Gesù vive nella nostra vita, così come in quella degli apostoli e di chi si nutre della Sua Presenza.Dall’esistenza di coloro che sono scelti per il ministero traspare questa luce che irrompe nelle tenebre di chi chiede di essere risollevato dal peccato e dalla povertà: "chi è capace di comprendere, Signore, tutta la ricchezza di una sola delle tue parole?" (Efrem il Siro).Nel fu Mattia Pascal - Pirandello - riporta un dialogo tra due persone: "Il male della scienza, è tutto qui: che vuole occuparsi della vita soltanto... ma dobbiamo anche morire.""Capisco ma perché pensarci tanto?". "Perché... non possiamo comprendere la vita, se non in qualche modo non ci spieghiamo la morte?". "Con il buio che ci fa?""Buio per Lei! Provi ad accendere una lampadina di fede, con l'olio dell'anima ... "Lo sguardo di compassione del Signore sarà questa lampada d’Amore, la misura del giudizio sulla nostra vita, sul ministero, come quello di don Antonio, sacerdote - secondo il Cuore di Cristo - che ha amato e servito la Chiesa.La nostra vita potrebbe essere ricca di cose possedute, ma è solitaria. Viviamo quaggiù come un diamante nella miniera... a confortarci viene solo “l'attimo in cui il divino irrompe...” (Holderlin).
Gesù, infatti, “irrompe” non per separarci dal mondo, ma perché divenendo una cosa sola con Lui possiamo vivere liberi la Sua missione.Nell'umile nostra risposta alla vocazione divina impariamo a conoscere il Padre: "Questa è la vita eterna: che conoscano te solo vero Dio e Colui che hai mandato!" (Gv 17,3).Conoscere il Padre in Gesù esige uno spirito orante, una fedeltà che si tramuti in gesti concreti. Conoscerlo per farlo conoscere come discepoli vivendo e camminando con Lui e tra fratelli.In modo paradossale - diceva Heidegger - siamo come un "Essere per la morte", attraversando questa linea d'ombra, il buio, il travaglio del dolore, del distacco siamo illuminati dalla luce della fede che abbiamo custodito, in cammino verso la Chiesa eterna per la quale ci si spende, come ha fatto Don Antonio, con passione, per tutta la vita.Le parole del poeta Giorgio Caproni.: "vogliatemi perdonare per quel pò di disturbo che reco..." si ribaltano. Sono le mie parole di gratitudine che sento di pronunciare per Don Antonio, sono un grazie a nome di tutti noi per il suo esemplare ministero.
Nel tempo della nostra vita, fa’, o Signore, che desideriamo l'attesa del tuo ritorno, della Resurrezione che, quando la finitezza del mondo lascerà il posto ai cieli nuovi e alla terra nuova, ci donerà la gioia di ritrovarci, tutti insieme, nell’infinita beatitudine per sempre.
Monsignor Sergio Melillo, Vescovo di Ariano-Lacedonia
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