La vacanza rovinata genera un danno non patrimoniale, identificabile in un disagio psicofisico, che consegue alla mancata realizzazione della vacanza programmata. Provare l'inadempimento esaurisce in sé la prova anche del verificarsi del danno. Gli stati psichici e i disagi interiori dell'attore non formano oggetto di prova diretta, ma sono comunque desumibili in modo chiaro dalla finalità turistica prevista nel contratto e dalla regolamentazione contrattuale delle varie attività e servizi sfruttabili per lo scopo vacanziero. Quesito giuridicamente collegato è se nel caso di inesatta esecuzione del contratto, la lesione dell'interesse alla vacanza pattuita in contratto (nella disciplina normativa del pacchetto turistico posta a tutela del consumatore), debba avere o meno il carattere della gravità, nel senso che l'offesa di tale interesse, per essere risarcibile, debba superare una soglia minima di tollerabilità.
Secondo le pronunce della Corte, una richiesta di risarcimento di danni non patrimoniali per disagi minimi, contrasterebbe con i principi di correttezza e buona fede e costituirebbe un abuso, in danno del debitore, della tutela accordata al consumatore.Nel silenzio della Legge o di stringenti delimitazioni normative, spetta al giudice di merito individuare il superamento della soglia minima, che qualifica il contratto determinando l'essenzialità di tutte le attività strumentali alla realizzazione dello scopo vacanziero. Dal complessivo assetto contrattuale, per dar luogo al risarcimento del danno, deve emergere che il riposo e il relative interesse allo svago sono tali da considerare la prestazione contrattuale non adempiuta.
Maria Froncillo
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