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Economia

2011, l'anno della Irisbus: quando la lotta non paga

120 giorni di mobilitazione. Poi l'amaro epilogo: la chiusura

Tutto è iniziato il sette luglio, con un comunicato, diffuso nottetempo dall’azienda torinese che annunciava la chiusura dello stabilimento.

Irisbus

Per 120 giorni hanno manifestato, presidiato la fabbrica, marciato, a Roma come in Irpinia.
Hanno girato la provincia di Avellino per spiegare le proprie ragioni, per difendere il posto di lavoro. Il 2011 è stato l’anno della Irisbus, l’anno della lotta delle maestranze per evitare la chiusura dello stabilimento di Valle Ufita. In questo caso, la lotta non ha pagato. La Fiat, armi e bagagli, ha lasciato l’Irpinia: sul futuro dei 700 operai, più quelli dell’indotto, ora c’è un grande punto interrogativo. Due anni di mobilità, poi, per chi ce la farà a trovarlo, un altro lavoro, oppure lo spettro della disoccupazione. Tutto è iniziato il sette luglio, con un comunicato, diffuso nottetempo dall’azienda torinese che annunciava la chiusura dello stabilimento. Sono seguite settimane di assemblee sindacali, manifestazioni, mobilitazioni. I cancelli della Irisbus sono diventati meta di pellegrinaggio per i politici locali e per quelli nazionali. C’è passato Ciriaco De Mita, dicendosi pronto ad indossare, se necessario, la tuta blu. C’è passato il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola. Da ultimo è arrivato l’ex presidente del consiglio, Massimo D’Alema. L’elenco completo sarebbe troppo lungo. La nota dolente è che i risultati non si sono visti. La vertenza, a un certo punto, è diventata anche nazionale. I metalmeccanici hanno attirato l’attenzione dei grandi network. Sono andati negli studi di Gad Lerner, in quelli di Mediaset e della Rai. Niente da fare. 
L’amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, è stato inamovibile, solo pochi giorni fa sentenziava, testuale, che lo stabilimento di Flumeri non ha “mai guadagnato una lira nella sua storia”.
In questa triste storia il manager ha interpretato il ruolo del cattivo. Ma sul proscenio si sono affacciati anche presunti salvatori della patria. I Di Risio di Termoli, ad esempio, che pareva volessero rilevare l’azienda tenendo però solo 300 dei settecento operai. Che cosa ci volevano produrre non si  mai capito, di certo dopo qualche settimana di trattative, denunciando il clima di tensione intorno alla vertenza, si sono fatti da parte. Poi sono arrivati i cinesi, hanno visitato la fabbrica, hanno incontrato i sindaci dell’area. Anche in questo caso, nulla di fatto. Il sipario è calato il 22 dicembre, a pochi giorni dalla festa della natività. L’anno breve delle Irisbus si conclude con le immagini degli operai che, mestamente, si scambiano gli auguri di Natale. Quei cancelli non li varcheranno più. Il 2011 si porta via un pezzo dell’Irpinia produttiva, industriale, un pezzo dell’automotive, e ci lascia in eredità centinaia di padri e madri preoccupati per il futuro dei propri figli.

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