Conosco Cacciari da quando frequentavo il liceo. Io comincio a invecchiare, lui ringiovanisce. Cacciari, l’ultimo grande filosofo italiano. Cacciari, il sogno proibito della mia professoressa di filosofia. L’onorevole professor Cacciari, il sindaco di Venezia, l’intellettuale del Pci, il politico-filosofo.
La foto della lezione svoltasi alla Scuola di Nusco sul tema “La Democrazia Rappresentativa” comunica meglio delle parole il confronto tra Cacciari e De Mita. Il racconto che segue è un rumore di fondo. La lezione di Cacciari non è notiziabile, il suo flusso di parole non guarda al particolare ma si eleva, vola via nell’astratto. Si doveva essere presenti: quando un capolavoro è sottratto allo sguardo, smette di esistere.
Nella foto, De Mita abbraccia il microfono e parla; dirige la scena. Cacciari è un po’ annoiato, le idee pesanti si raccolgono nella mano. Non ha voglia di ascoltare, Cacciari vuole parlare. Il suo monologo è lungo, lunghissimo. La sua voce traccia per ore ed ore un filo continuo di concetti: etimologie, assiologie, strutture antropologiche e utopie.
Confrontate questa foto con “La scuola di Atene” di Raffaello. De Mita sta qui a rappresentare Aristotele, il filosofo che con il pensiero abbraccia il mondo, colui che guarda alle cose terrene, il capo che scruta davanti a sé. De Mita raffigura l’uomo in cui risiede il kratos che non è il solo potere astratto, ma è il potere di fare o far fare una cosa con il solo segno del capo (dal greco ‘kratos’: capo ha la stessa etimologia di potere). Cacciari pensa, il capo viene sostenuto dal braccio, è alla ricerca delle idee, rivolto verso l’alto, verso l’utopico (uno spazio senza luogo).
Parte il monologo sulla “Democrazia Rappresentativa”.
«Democrazia è parola così nobile che si rischia di confondere l’aspetto ideale e reale, di far saltare i piani. Democrazia è un termine che assume subito una connotazione di valore. Si parte da Platone: “Non ci può essere uguaglianza di fronte alla legge senza una giusta distribuzione della ricchezza”. Lo stato moderno, pur partendo da questa assiologia corretta, vuole sradicare l’individuo da ogni altro corpo (corporazioni, associazioni, gentes, partiti) e puntare alla società liquida, a una scatenata libertà dell’individuo. Ecco perché la democrazia moderna è utopica. È utopica la democrazia moderna in quanto pensa a individui tutti uguali senza considerare le differenze. Anche il termine Stato è utopico. Utopico in quanto pensato per restare oltre il divenire. Stato inteso come frutto di un patto tra pari. Un patto che genera utilitas. Ma non possiamo pensare di scegliere tutti insieme. Lo Stato è il frutto di una scelta razionale che si allarga anche alla scelta della classe dirigente, di chi sia più atto al governo, a rappresentare il popolo, ad essere suo ministro (colui che amministra). Una volta operata questa scelta, però, il popolo viene rappresentato da una elite. Il popolo migliore sceglierà i migliori, gli aristoi. Subentra all’interno del concetto democratico, una visione aristocratica. I migliori, in democrazia, entrano in conflitto tra loro. Per la democrazia il conflitto è un valore positivo. I Rappresentanti devono avere e guadagnarsi autorità, autonomia strategica, quindi entrano in conflitto anche con il popolo. In questa fragile dialettica rappresentante-rappresentato (dialettica che De Mita riassume con il dualismo medico-paziente) è utile presupporre che non ci sia una spoliticizzazione del demos. I ministri del popolo devono far si che non ci sia né troppa mediazione né troppo poca. La democrazia ha bisogno di auctoritas e tolleranza. Come diceva Tocqueville: “Non può esserci democrazia senza amicizia tra i suoi componenti”. Amicizia è simpatia (dal greco soffrire insieme), la fratellanza. Ecco perché i francesi indicarono questi tre concetti: uguaglianza, libertà, fratellanza. In democrazia vanno prese delle decisioni ma su alcune questioni si deve far valere il principio di tolleranza, in alcuni campi la politica deve tacere. Ma in periodi di crisi, tra politica e valori non può esserci indifferenza. Se tolleranza diventa indifferenza, la politica si suicida. Impossibile pensare la democrazia senza partiti».
Riavvolgiamo il nastro, ritorniamo alla foto e registriamo l’ultima frase di Cacciari : “La filosofia è portare all’estremo il concetto, per capirlo finalmente quando si ha l’impressione di averlo perso.” Cacciari fa implodere e poi ricompone il concetto di democrazia. Il filosofo porta il discorso verso la rottura delle idee democratiche. Le sue tesi infastidiscono De Mita, che farebbe l’impossibile per salvare la nostra rappresentanza, ma confermano una sua intuizione, un pensiero che si fa costante nella sua mente da quando si è ritirato nella sua Nusco: “La democrazia è una stagione che si è ormai conclusa”… ma non è detto che le altre stagioni siano meno belle.
Erminio Merola
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