L’annuncio consegnato da Casini alle colonne di Repubblica scuote il centro e i demitiani. L’ex presidente della Camera, infatti, in una intervista ha rotto gli indugi ed ha indicato il nuovo orizzonte, che poi è quello vecchio: tornare nel campo del centrodestra, al fianco di Berlusconi. Il progetto del terzo polo è morto, o meglio, quello spazio è stato conquistato da Grillo, per sopravvivere, alla luce della nuova legge elettorale, l’Udc deve allearsi con gli altri soggetti del partito popolare europeo, dunque, con Forza Italia e il nuovo centrodestra di Alfano. Chissà come l’avrà presa Ciriaco De Mita che ieri ha spento 86 candeline nella sua casa di Nusco tra amici e il consueto pellegrinaggio dei fedelissimi. Di certo l’ha presa male Giuseppe De Mita, che in parlamento siede nel gruppo ‘’Popolari per l’Italia’’, lo stesso di Casini. E non poteva essere altrimenti per chi, per anni, ha contestato il bipolarismo muscolare e la necessità di consegnarlo alla storia il prima possibile. E infatti in una nota chiosa: “Il disegno di trasformare il populismo berlusconiano in una forma di popolarismo moderno è già fallito anni fa. Se lo riproponessimo oggi, più che un'illusione, rischierebbe di apparire una furbizia. Non ci sono scorciatoie praticabili che risolvano la questione che resta tutta in piedi, cioè quella di organizzare una proposta politica che aggreghi l'area non di sinistra recuperando la disaffezione elettorale ed emarginando i populisti’’. Così Giuseppe De Mita.
La resa dei conti ci sarà tra 20 giorni al prossimo congresso dell’Unione di Centro. Lì si vedrà se Casini ha ancora in mano il partito. Diversamente una scissione appare inevitabile. Insomma, per l’Udc irpino e per i demitiani i tempi non sono dei migliori. Dopo la fuoriuscita di sindaci, consiglieri regionali, comunali e di diversi amministratori, ora lo scudocrociato è alle prese con una nuova identità da definire, un nuovo spazio politico da trovare, nell’eterna rincorsa alla costruzione di quel centro che da quando la Dc è scomparsa si è lacerato in una diaspora che sembra non avere fine.
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