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Burnout, sindrome da stress sul lavoro: disagio che ''brucia''

L'OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce il burnout "una sindrome concettualizzata come conseguenza di stress cronico sul posto di lavoro non gestito con successo"

Il termine burnout (che in lingua inglese indica genericamente qualcosa che si è “bruciato del tutto”, ovvero che si è “esaurito per combustione”) viene utilizzato, in senso figurato, anche in ambito clinico per designare una condizione di intenso logorio psicofisico associato a gravi e perduranti esperienze stressanti in contesti lavorativi. Dall’etimologia del termine si può comprendere come, dal punto di vista psicologico, esso faccia metaforicamente riferimento ad una mente sovraffaticata che è, per così dire, “bruciata”, cioè consunta, esausta, stremata, sfinita.
Come può la mente arrivare a tanto malessere? Per rispondere bisognerebbe considerare sia le variabili dell’ambiente lavorativo, sia la personalità ed i vissuti emotivi del singolo individuo. Ogni lavoratore reagisce soggettivamente agli eventi stressanti in maniera differente, ma è tuttavia possibile riscontrare un tipico complesso di segni e sintomi che solitamente caratterizzano la sindrome da burnout.
Nel burnout, processo patologico multifattoriale che eccede i consueti e più gestibili livelli di stress normalmente associati ad un’attività lavorativa, ci si sente profondamente insoddisfatti e demotivati da un’esperienza professionale estremamente stressante. La persona che soffre di burnout può incorrere in gravi difficoltà di concentrazione ed arrivare a svolgere la propria attività con carenza d’iniziativa, apatia e un atteggiamento emotivo di freddezza, rivelandosi poco empatica e scarsamente coinvolta sul piano affettivo nei rapporti interpersonali.
Sebbene venga genericamente riferito a qualsiasi realtà lavorativa con significativi fattori stressanti, il burnout è tradizionalmente e più spesso associato alle cosiddette “professioni di aiuto” (helping professions) che si occupano dell’assistenza a persone con elevato disagio fisico e/o psicologico. Si pensi, ad esempio, ad uno psicoterapeuta in servizio presso un reparto oncologico, ad un chirurgo, ad un assistente sociale, alle forze dell’ordine o anche agli operatori sanitari che, nell’attuale momento storico, sono quotidianamente impegnati a fronteggiare in prima linea la pandemia di Covid-19, ecc. 
Senz’altro queste figure professionali hanno a che fare con delle realtà diverse, ma hanno in comune un carico emotivo non indifferente dovuto ad un insieme di circostanze estremamente gravose, delicate e stressanti.
La sindrome da burnout presenta tre dimensioni fondamentali: l’esaurimento emotivo, la depersonalizzazione ed il senso di scarsa efficacia personale.
L’esaurimento emotivo consiste nella sensazione di essere interiormente logorati, depauperati, inariditi, svuotati di energia.
La depersonalizzazione, che implica anche un meccanismo psicologico inconscio di difesa dallo stress, si manifesta sotto forma di un atteggiamento di distacco emotivo, freddezza, cinismo, irritabilità o rifiuto nei confronti di coloro che richiedono la prestazione professionale.
Il senso di scarsa efficacia personale implica un sentimento di ridotta realizzazione personale associata alla percezione della propria inadeguatezza in campo professionale con conseguente diminuzione dell’autostima. 
Essendo il risultato di un processo che si aggrava nel corso del tempo, il burnout presenta dei prodromi: inizialmente ci si impegna a dare il massimo nel proprio lavoro, nonostante risulti essere molto faticoso, per dimostrare agli altri e a se stessi di possedere ancora le proprie capacità di rendimento; tuttavia, tale condotta può portare a un destabilizzante esaurimento emotivo e a vissuti ansioso-depressivi.

Non sempre, però, chi soffre di burnout ne è consapevole: spesso il soggetto tende a sminuire o sottostimare alcuni segnali somatici e psichici soggettivamente avvertiti come, ad esempio, scarsa motivazione, insonnia o cefalea. L’inconsapevolezza di chi ne soffre non fa che peggiorare il disagio che, inevitabilmente, conduce a conseguenze in ambito lavorativo e sociale. La persona si mostra insofferente verso utenti, clienti, colleghi e superiori con conseguente compresenza di atteggiamenti conflittuali e malessere generalizzato. Le vittime del burnout si sentono intrappolate in un profondo e cronico senso di fallimento e demotivazione, ma allo stesso tempo convivono con i sensi di colpa perché avvertono di non star adempiendo in maniera adeguata al proprio dovere.


Come uscirne? La problematica andrebbe affrontata intervenendo sul benessere organizzativo, anche con l’ausilio di gruppi d’autoaiuto, di un lavoro d’equipe, di supervisione, oltre che sul piano individuale. 
Si può, infatti, intervenire sul singolo operatore rivolgendosi a psicologi, psicoterapeuti o psichiatri in grado di fornire strumenti cognitivi e di elaborazione dei vissuti stress-correlati e favorire una maggiore consapevolezza del problema al fine di mettere in atto più adeguate strategie di adattamento (coping) per meglio tollerare, ridurre e gestire lo stress.

*Rosanna Bruno (studentessa di Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università LUMSA di Roma) 

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