Nella più recente edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5) il Disturbo da Stress Post-Traumatico (DSPT o anche, in inglese, PTSD: Post Traumatic Stress Disorder) è stato inserito dall’American Psychiatric Association nella sezione dedicata ai disturbi correlati ad eventi traumatici e stressanti, mentre nella precedente edizione (DSM-IV) rientrava nel capitolo concernente i più generici disturbi d’ansia.
Il DSPT può svilupparsi in persone che hanno vissuto uno o più eventi particolarmente traumatici che, implicando grave danno o pericolo per la propria integrità fisica e psichica (o talora di altre persone affettivamente significative), hanno provocato sul momento intense reazioni di paura, orrore, impotenza, disperazione. Questo disturbo può essere causato, ad esempio, da catastrofi naturali, conflitti bellici, atti di terrorismo, abusi sessuali, aggressioni criminali, scene violente, incidenti, malattie gravi, lutti di persone care ecc. Di solito il paziente ha vissuto direttamente in prima persona un’esperienza traumatica, ma potrebbe anche aver solo assistito ad un evento traumatico subìto da qualcun altro o esserne venuto a conoscenza. La probabilità di sviluppare un DSPT è direttamente proporzionale all’entità oggettiva dell’evento traumatico e della minaccia soggettivamente percepita. I sintomi del disagio psicologico che caratterizza il DSPT perdurano per almeno un mese e, sebbene possano manifestarsi in modalità differenti in ogni paziente, si caratterizzano per la presenza di gravi, destabilizzanti o invalidanti stati ansioso-depressivi.I pazienti possono esperire e manifestare profonde alterazioni dell’umore, dell’attenzione, della cognizione, della memoria; serie difficoltà o incapacità a provare piacere (anedonìa) ed altre emozioni positive; iperattivazione psicomotoria, intense risposte fisiologiche, somatizzazione, irritabilità ed esagerate reazioni di allarme; disturbi del sonno, come la difficoltà ad addormentarsi o a mantenere lo stato di sonno oppure a calmarsi e rilassarsi; tendenza a produrre idee esageratamente negative su di sé, sugli altri e sul mondo in generale; sentimenti di vulnerabilità personale associati a grave frustrazione del fondamentale bisogno di sicurezza; forte diminuzione di interessi, affettività marcatamente ridotta, restrizione del campo esperienziale e sensazione di straniamento o distacco interpersonale; difficoltà di concentrazione, ipervigilanza e sforzi per evitare sensazioni, ricordi, pensieri, conversazioni, stimoli e situazioni che rievochino l’evento traumatico; incapacità a ricordare qualche aspetto importante del trauma e distorsioni cognitive sul processo di causa-effetto implicato nell’evento traumatico che possono condurre il soggetto a provare sentimenti di colpa e/o di vergogna per l’accaduto; esplosioni di collera e condotte etero e/o autolesive; allucinazioni, stati dissociativi ed episodi di depersonalizzazione, cioè la sensazione di distacco da sé stessi associata ad un alterato senso del Sé psico-corporeo, come se ci si autosservasse dall’esterno; episodi di derealizzazione, cioè la sensazione che l’ambiente circostante sia distante, distorto, alterato o irreale.
Per proteggersi dalla sofferenza emotiva, il soggetto può mettere in atto dei meccanismi di difesa psichici inconsci sia durante l’esperienza traumatica che in seguito. L’evento traumatico originario può, ad esempio, essere psichicamente dissociato, rimosso o dimenticato (amnesia dissociativa post-traumatica) per essere poi riesperito sotto forma di flashback, ovvero immagini, pensieri o ricordi improvvisi, involontari, intrusivi e persistenti, per cui il paziente può avere temporaneamente la disturbante impressione che la situazione traumatica si stia nuovamente verificando. In questi frangenti la persona può provare intensa angoscia e manifestare una marcata espressione dei correlati neurovegetativi della reattività fisiologica, come tachicardia, violenta sudorazione, tensione muscolare. Il flashback può talvolta essere scatenato da percezioni sensoriali (visive, uditive, olfattive ecc.) che simboleggiano l’evento traumatico originario oppure vi assomigliano per qualche aspetto o hanno qualche affinità con esso. I sintomi intrusivi possono verificarsi non soltanto nello stato di veglia ma anche durante il sonno sotto forma di incubi ricorrenti particolarmente angosciosi nei quali il contenuto onirico concerne, in maniera manifesta o latente, situazioni legate al trauma. In ogni caso, sebbene il DSPT possa manifestarsi in ciascun paziente con alcuni sintomi prevalenti rispetto ad altri, esso causa in chi ne soffre un marcato disagio o vere e proprie disabilità in importati aree del funzionamento personale e nella sfera scolastica o lavorativa e, più in generale, nell’ambito della vita sociale, con penosi sentimenti di diminuzione delle proprie prospettive future.
Il disturbo può manifestarsi ad ogni età e, talvolta, può anche essere ad espressione ritardata, ovvero esordire in forma conclamata a distanza di mesi o anni dall’evento traumatico originario. Nei bambini affetti da DSPT si possono riscontrare anche stati di agitazione; comportamenti disorganizzati; disregolazione affettiva; disturbi nell’attaccamento a coloro che se ne prendono cura (caregivers); coazione a ripetere attività ludiche in cui vengono espresse tematiche riguardanti l’evento traumatico; sogni spaventosi che sembrano privi di contenuto esplicitamente riconoscibile; problemi di attenzione, di concentrazione e di condotta in ambiente scolastico, familiare, sociale. Spesso i bambini che hanno subìto un trauma si convincono del fatto che ciò che pensano e che provano sia in grado di influenzare gli avvenimenti e che quindi abbia un potere sulla realtà in cui vivono. Il bambino traumatizzato può, quindi, più facilmente avere la tendenza ad incolpare sé stesso o chi si prende cura di lui per non aver impedito l'evento terrificante che ha portato al trauma. Tali credenze distorte non fanno che aggravare le conseguenze del trauma sulla psiche della vittima.
I bambini vittime di stress traumatico incontrano spesso serie difficoltà nella regolazione emotiva e comportamentale: sono spaventati dalle novità reagendo spesso in maniera impulsiva e aggressiva; soffrono sovente di insonnia o di ipersonnia e mostrano un peggioramento generale nel comportamento e nel funzionamento psichico. Più il bambino è piccolo e minore sarà la sua capacità di prevedere e gestire una situazione di pericolo; di conseguenza avrà una maggiore vulnerabilità agli effetti del trauma. Ma perché il trauma nei bambini può avere conseguenze più gravi che negli adulti? Il cervello di soggetti in età evolutiva è ancora immaturo e in continuo sviluppo. Un evento traumatico, specie nel corso della prima infanzia, può portare a una conseguente dimensione ridotta di alcune aree della corteccia cerebrale, che è la sede di numerose funzioni mentali complesse come l'attenzione, la memoria, il pensiero, la consapevolezza percettiva, la coscienza e il linguaggio.
Il trauma può dunque andare ad intaccare le funzioni intellettive e la conseguente capacità di regolare e gestire le proprie emozioni. Per quanto riguarda i tassi di prevalenza del DSPT, vari studi confermano che le percentuali sono più elevate negli adulti sopravvissuti ad abusi fisici e/o sessuali durante l’infanzia; nelle popolazioni fortemente esposte per lunghi periodi a situazioni ripetutamente traumatiche, come ad esempio quelle che vivono in zone di guerra o in aree geografiche frequentemente soggette a calamità naturali; nelle categorie professionali che svolgono lavori con un maggior rischio di esposizione ad eventi traumatici. Diversi tipi di approcci psicoterapici focalizzati sul trauma e sulla sua elaborazione cognitivo-emotiva sono stati sviluppati per il trattamento clinico del DSPT.
Bibliografia: American Psychiatric Association; Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (5th ed.)
*Rosanna Bruno (studentessa di Scienze e Tecniche Psicologiche presso l’Università LUMSA di Roma)
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