Forse di funerale ce n'è anche un altro da celebrare. Probabilmente meno metaforico di quello messo in scena a Grottaminarda dagli operai della Irisbus per certificare la morte del lavoro nel ''fu stabilimento di Fiat Iveco''. C'è un altro cadavere da rimuovere: quello del sindacato. Storceranno il naso, certamente. Sono abituati a sentirsi dire dell'importanza del ruolo che ricoprono: a difesa della democrazia nelle piazze; dei diritti nelle fabbriche. Tutto vero. Ma quando un'organizzazione è in crisi, non lo si può negare. E che il sindacato lo sia non è una novità. Non è una questione di numero di iscritti, ma di peso nella società, di capacità di attrarre interesse, in particolare tra le nuove generazioni. Il corteo sfilato per le strade di Grottaminarda era, in gran parte, composto da addetti ai lavori, quadri sindacali, funzionari, dirigenti di partito. Poche centinaia, nonostante la mobilitazione fosse uinitaria.
Evidentemente, nemmeno i 700 operai Irisbus rimasti con le ''mani in mano'' dopo l'addio di Fiat, si sono riversati nelle strade della città dell'Ufita. Ancora: dove erano i municipi, i sindaci? Di gonfaloni si sono visti solo quelli di Avellino e Mercogliano. Non poteva mancare certo il padrone di casa, Giovanni Iannciello. Ma quella partecipazione che in un passato recente ha animato la lotta a difesa dell'Irisbus, non c'è più. In Irpinia, nonostante la crisi, i drammi umani che si moltiplicano, il primo maggio 2012 ha avuto il sapore della routine, dell'ordinarietà, del già visto. Brutto segno. Ma dalla morte si può risorgere. Crederci è un atto di fede. Per il sindacato, una questione di sopravvivenza.
Commenta l'articolo