Seguici su

Ciao, cosa stai cercando?

Canale 58Canale 58

Rubriche

Mobbing, quando il ''padrone'' vi perseguita: ecco come difendersi

''Il cavillo'', di Maria Fronicllo: perchè la legge non ammette ignoranza

Mobbing vuol dire letteralmente “aggressione”, si intendono gli atti persecutori sul posto di lavoro. In assenza di una disciplina unitaria in merito, la giurisprudenza ha individuato con il termine mobbing, le condotte del datore di lavoro (o di un superiore gerarchico) persecutorie, non congrue allo svolgimento ordinario della prestazione lavorativa. Confluiscono nel concetto tutti gli atteggiamenti ostili e reiterati che tendono alla vessazione del lavoratore. Comportamenti simili generano lesioni da un punto di vista sia psichico che fisico da parte del prestatore di lavoro. Esempi di mobbing sono molti: assenza di comunicazione ed emarginazione del lavoratore, critiche continue sul modo di operare, assegnazione di compiti dequalificanti, compromettere l’immagine della persona davanti a colleghi. Se ci si trova in una delle situazioni sopracitate si sta subendo il mobbing a lavoro. Sul piano medico-legale il fenomeno provoca malattie psicosomatiche, disturbi di adattamento e anche disturbi post traumatici. La vittima perde capacità lavorativa, fiducia in se stesso. Secondo alcuni studi il mobbing è responsabile del 15% dei suicidi in Italia, nella migliore delle ipotesi conduce all’abbandono del posto di lavoro. 
Se il responsabile è il datore di lavoro, il riferimento normativo è l’art. 2049 c.c., relativo alla clausole generali di responsabilità per violazione degli obblighi a tutela del lavoratore, ma si configura anche una violazione delle clausole riguardanti la buona fede e la correttezza. A reiterare una condotta mobbizzante può anche anche essere un altro dipendente, in tale ipotesi la responsabilità del datore di lavoro permane, in quanto spetta a lui il potere/dovere di controllo.
Per vedersi riconosciuto il diritto al risarcimento del danno (patrimoniale e non) spetta al lavoratore mobbizzato l’onere della prova. Il prestatore di lavoro deve dimostrare la veridicità dei comportamenti vessatori, l’eventuale demansionamento. Circostanze non sempre di facile accertamento.
Maria Froncillo

Commenta l'articolo

Copyright © Mediainvest srl - Tutti i diritti riservati - Web Agency: Progetti Creativi
La riproduzione di tutto o parte del contenuto di questo sito è punibile ai sensi delle leggi vigenti
Privacy Policy