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Rettocolite Ulcerosa e Morbo di Crohn: in bilico fra testa e pancia

Il ruolo dei fattori bio-psico-sociali e dell’asse intestino-cervello nelle malattie infiammatorie croniche intestinali

I disturbi dell’umore di cui soffrono le persone affette da Rettocolite Ulcerosa e Morbo di Crohn non dipendono esclusivamente dal disagio psicologico dovuto allo stato di malattia ma anche dai cambiamenti che si generano nelle cellule cerebrali in seguito all’infiammazione intestinale. Le emozioni negative e lo stress psicologico possono, inoltre, influenzare negativamente il decorso della malattia e la comparsa delle sue riacutizzazioni.

“Ero appena diciottenne quando mi diagnosticarono la Rettocolite Ulcerosa. La malattia presentava, sin dal suo esordio, un quadro severo: avevo una pancolite, che consiste in un’infiammazione che coinvolge l’intero colon. Al momento della diagnosi congelai le mie emozioni, non provai nulla se non un insolito senso di vuoto nel petto. Solo in seguito capii che il mio non era altro che un meccanismo di difesa psicologico messo in atto inconsciamente in seguito alla comunicazione della diagnosi; trauma  che in quel momento avevo vissuto e che continuo a rivivere ogni volta che la malattia si fa sentire”.


“Convivere con il Morbo di Crohn a ventiquattro anni vuol dire fare i conti quotidianamente con stanchezza cronica, irritabilità, sofferenza fisica ed emotiva che mi impediscono di avere una vita sentimentale, universitaria e sociale serena e appagante. In seguito al mio primo intervento chirurgico, risalente a due anni fa, mi è stato diagnosticato un Disturbo Depressivo Maggiore. Ciò che mi sento di dire a chi sta affrontando una qualsiasi patologia è: in associazione alle altre cure mediche, non esitate a chiedere aiuto anche ad un professionista della salute mentale. La psicoterapia mi ha salvato la vita e continua a farlo”.

Sono le voci di due giovani pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche intestinali, anche conosciute come MICI o IBD (Inflammatory Bowel Disease). Le MICI sono patologie infiammatorie che comprendono il morbo di Crohn (MC) e la Rettocolite Ulcerosa (RCU). Si calcola che in Italia siano presenti oltre 100.000 pazienti affetti da malattie infiammatorie croniche Intestinali, dei quali circa 60.000 da RCU e 40.000 da MC. Si stimano circa 14-15 nuovi casi l’anno su 100.000 soggetti. Ad oggi l’eziologia delle MICI è ancora sconosciuta mentre, per quanto concerne l’aspetto fisiopatologico, è ormai certo che alla base di tali malattie vi sia una disregolata attività del sistema immunitario che conduce ad un aumento di citochine infiammatorie prodotte da cellule del sistema immunitario, comportando un’abnorme reazione immunologica da parte dell’intestino verso alcuni antigeni. Probabilmente, per via di una predisposizione genetica, il sistema immunitario va ad attaccare le cellule dell’apparato digerente causando una reazione infiammatoria che ne altera anatomia e funzionalità.

La fascia di età prevalentemente colpita è quella compresa tra i quindici ed i trent’anni mentre l’andamento cronico della patologia è caratterizzato dall’alternarsi di fasi acute a fasi di remissione in cui i sintomi clinici tendono ad alleviarsi o addirittura a sparire per un lasso di tempo variabile. La comparsa, la gravità e la durata delle recidive della malattia non sono prevedibili ed il trattamento farmacologico consiste soprattutto nell’utilizzo di farmaci biologici, immunosoppressori e corticosteroidi. I sintomi più comuni delle MICI sono dolore addominale, febbre, diarrea emorragica, dolore articolare, malassorbimento, calo ponderale, stanchezza cronica, nausea. Inoltre, una serie di manifestazioni extraintestinali può aggravare il quadro clinico: ad essere spesso colpiti sono la cute (eritema nodoso o psoriasi), l’occhio (uveite ed episclerite), le articolazioni (artralgie, distrofie e spondiliti), il fegato (colangite sclerosante primitiva), i reni e la colecisti (presenza di calcoli), ecc. La terapia medica è finalizzata ad indurre o a mantenere uno stato di remissione dalla malattia. Non è escluso, ove si mostri necessario, il ricorso alla chirurgia. Le malattie infiammatorie croniche intestinali si associano con notevole frequenza a sintomi di disagio psicologico di gravità variabile. Nei soggetti che ne soffrono, la presenza di disturbi dell’umore, come i disturbi depressivi, e di disturbi d’ansia è stata più volte descritta e ribadita.

Nell’insorgenza di tali disturbi psicologici giocano un ruolo fondamentale la cronicità della malattia, la paura di essere ricoverati o sottoposti ad interventi chirurgici invasivi, la presenza di una o più comorbilità, l’andamento clinico imprevedibile, la diagnosi in età giovanile, i sintomi invalidanti ed il disagio fisico e sociale che ne deriva. La malattia cronica è ritenuta di per sé una condizione depressogena: nel DSM IV (quarta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali), infatti, nella sezione dedicata ai disturbi dell’umore, viene descritta la depressione da cause mediche. Negli anni '50 del secolo scorso si faceva riferimento alle MICI come a delle malattie psicosomatiche, intendendo che conflitti psicologici o esperienze a connotazione stressogena come traumi, semplici o complessi, potessero determinarne l’insorgenza. Benché la teoria eziologica psicosomatica sia stata poi accantonata, attualmente numerosi studi si concentrano sulla relazione tra stress ed infiammazione. La neurofisiologia delle emozioni e dello stress, con il progredire delle conoscenze neuroscientifiche e della neurodiagnostica avanzata (tacniche di neuroimaging), ha permesso alla ricerca scientifica di compiere notevoli passi in avanti nella comprensione dei meccanismi implicati nella complessa relazione tra stress e manifestazioni infiammatorie delle malattie croniche intestinali.

I risultati di svariati studi recenti, ottenuti dalla somministrazione e dall’analisi di questionari psicometrici, hanno chiaramente confermato un’alterazione del funzionamento emotivo in gruppi di pazienti affetti da MICI. Il rapporto tra emozioni e patologia, campo di indagine che attira l’interesse di ricercatori di tutto il mondo, può essere compreso alla luce del modello biopsicosociale (BPS): quadro concettuale, sviluppato dallo psichiatra statunitense George Engel negli anni Ottanta, che pone la persona malata al centro di un sistema influenzato da più variabili. Il BPS afferma che “… ogni condizione di salute o di malattia sia la conseguenza dell’interazione tra fattori biologici, psicologici e sociali” ma anche che “… la malattia è in grado di modificare lo stato psicologico, lo stato emotivo e l’adattamento sociale del paziente”.

Emozioni e malattia sono legate, dunque, da un rapporto causale circolare (o bidirezionale). Nel caso specifico delle MICI la cronicità, l’imprevedibilità e l’incertezza dei sintomi hanno un impatto negativo sullo stato mentale dei pazienti e, viceversa, le emozioni negative e lo stress possono influenzare negativamente il decorso della malattia andando ad incidere sulle sue esacerbazioni. A dare un ulteriore supporto alla teoria biopsicosociale di malattia è il concetto di asse intestino-cervello (brain-gut axis, BGA) che fornisce il quadro teorico che permette di comprendere la reciproca interazione tra fattori biologici ed emotivi. Come ribadisce il Dr. Antonio Gasbarrini, Direttore dell’Unità Operativa Complessa di Medicina Interna e Gastroenterologia del Policlinico Gemelli di Roma, “intestino e cervello sono strettamente collegati tra loro. Nell’intestino vengono prodotti numerosi neurotrasmettitori, grazie ai quali si mantiene un 'dialogo' continuo e incessante tra questo organo e il sistema nervoso autonomo. Una comunicazione che viaggia lungo quell’autostrada che è l’asse ipotalamo-ipofisi-surrene”. Il BGA, infatti, implica che sussista un collegamento diretto, realizzato tramite i nervi del sistema simpatico e parasimpatico, tra le regioni cerebrali del sistema limbico ed il sistema nervoso enterico, ovvero la fitta rete di neuroni che innerva e controlla il tratto gastrointestinale. Le scoperte relative al legame di interazione tra intestino e cervello hanno inevitabilmente allargato la visione del funzionamento del nostro sistema corporeo portando nella comunità scientifica internazionale alla rivalutazione di molti concetti di salute e malattia. Vista la coesistenza di malessere psichico e malattie infiammatorie croniche intestinali, gli esperti ricordano che occuparsi delle ricadute psicologiche di queste condizioni è considerata una necessità. Dalle testimonianze di pazienti affetti da MICI emerge una tendenza a manifestare sofferenza psicologica sin dall’esordio della malattia.

Una delle fasi particolarmente critiche nella storia clinica e personale del paziente è senz’altro quella della diagnosi: momento estremamente delicato e difficile in cui, oltre al suo stato di salute, ai rischi di ospedalizzazione e alle possibili complicanze cliniche che la sua patologia potrebbe causare, al paziente viene anche comunicato che dovrà dedicare la sua vita a curarsi e a sottoporsi a frequenti accertamenti medici modificando, inevitabilmente, il proprio stile di vita. Il paziente si prepara ad affrontare nuove e sconosciute sfide, ed è in questa fase che è fortemente consigliato di intraprendere un percorso di psicoterapia. Si ritiene talvolta utile fornire consulenza psicologica anche ai familiari delle persone malate affinché apprendano a relazionarsi al meglio con esse comprendendone difficoltà fisiche, psichiche ed interpersonali. 

* Rosanna BrunoDottoressa in Scienze e Tecniche Psicologiche e studentessa di Psicologia Clinica presso l’Università LUMSA di Roma

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