Rivolgersi ad un uomo affermando “sei un gay!” non integra reato di diffamazione. Il termine omosessuale non ha infatti conservato un significato offensivo, come accadeva in momenti storici passati. A stabilirlo è la Corte di Cassazione. Il reato di diffamazione è certamente posto a tutela dell’onore della persona, viene definito come l’offesa all’altrui reputazione. Reputazione intesa come dignità personale, che investe non solo il soggetto ma l’opinione di un gruppo sociale. A tale ambito appartengono tutte le condotte lesive di qualità intellettuali, professionali e personali. Le affermazioni devono però possedere un carattere diffamatorio, valutato in base al significato complessivo delle parole. In Cassazione è stato contestato da un imputato il carattere offensivo del termine omosessuale, sostenendo la perdita di quel connotato lesivo nell’attuale linguaggio. Nella sentenza inoltre si evidenzia come l’oggetto della tutela, nel reato di diffamazione è l’onore, che certamente non viene leso in tale ipotesi. Il termine in questione assume per i giudici un significato neutro, che specifica le preferenze sessuali di un individuo, per cui discutere con qualcuno circa le sue inclinazioni sessuali non può integrare gli estremi del reato. In dottrina si è creata anche una nuova elaborazione del concetto di "onore", da intendersi come attributo originario dell'individuo, che costituisce un valore umano e inviolabile, in forza della dignità che non può essere negata dalla comunità sociale. In favore al diritto dell'individuo alla rappresentazione della propria personalità agli altri, senza alterazioni e travisamenti, non ha rilevanza penale attribuire la qualità di omosessuale ad un soggetto. I termini non risultano oggettivamente idonei a ledere la reputazione della persona, al contrario di altri appellativi di chiaro intento denigratorio secondo i canoni del linguaggio corrente.
Maria Froncillo
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