La differenza essenziale all’interno dell’istituto della separazione è quella che distingue la separazione “legale”, a sua volta di due tipi (giudiziale e consensuale) e la separazione “di fatto”. Per la separazione legale è previsto un vaglio dell’autorità giudiziaria, che interviene stabilendo le condizioni da imporre ai coniugi con sentenza oppure attraverso l’emanazione di un decreto di omologazione degli accordi raggiunti dai coniugi.
La separazione di fatto rappresenta certamente il modo più sempice e veloce per separarsi, anche il modo economicamente più vantaggioso. Consiste nell’interrompere in concreto, senza esteriorizzazioni giuridiche, l’interruzione del rapporto con il coniuge sia essa morale, affettiva o patrimoniale.
La modalità più frequente di realizzare la separazione di fatto è abbandonare il tetto coniugale con un probabile accordo circa sostegni di natura economica per il coniuge più debole. Tale modalità di separazione da un lato non si eleva a presupposto per far partire la decorrenza dei tre anni al termine dei quali si potrà chiedere il divorzio, dall’altro non produce effetti giuridici, in quanto il nostro codice civile non disciplina la materia. Nonostante ciò la separazione di fatto potrebbe produrre effetti sul piano legale. Pur non essendo vietata come condotta, potrebbe essere usata come addebito ai danni del coniuge che viola gli obblighi di assistenza materiale o di fedeltà coniugale.
La separazione “di fatto” è comunque presa in considerazione da alcune normative settoriali, ad esempio è da considerarsi causa ostativa all’adozione di un figlio.
Con lo scopo di favorire al massimo il ripristino della sintonia all’interno della famiglia di fatto separata, il legislatore ha previsto che per garantire efficacia alla riconciliazione non sia necessaria alcuna formalità particolare.
Maria Froncillo
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