L’attesa, la speranza, la voglia di vincere contro una nazionale, e una nazione, che non hanno fatto nulla per apparire quantomeno non antipatici e che anzi sono riusciti ad alzare immotivatamente i toni prima della finale. Tra tifosi che si sono tatuati la coppa prima ancora che la squadra scendesse in campo, gli addobbi ai palazzi istituzionali, gli slogan che inneggiavano, ancora prima della contesa, al ritorno a casa della Coppa, peraltro senza un logico motivo, visto che quella coppa l’Inghilterra non l’ha mai vinta, fino ai fischi all’inno nazionale italiano, preceduti dalle bandiere tricolore calpestate per strada, il clima era tutt’altro che consono allo svolgimento della partita nel segno della sportività. Il gol dopo meno di due minuti di gioco realizzato dall’Inghilterra accendeva ancora di più gli animi dei tifosi d’oltre Manica presenti a Wembley. Ma l’Italia non si rassegnava e con la forza del gruppo, testimoniato dall’ingresso in campo di mezza squadra che era invece partita dalla panchina, riusciva prima a rimettere in piedi la gara, pareggiando i conti grazie a Bonucci, e poi aggiudicandosi la lotteria dei calci di rigore. E qui l’Inghilterra perdeva per la seconda volta, visto che anche la strategia dell’allenatore inglese non veniva premiata. Gli errori fatali dal dischetto arrivavano proprio dai rigoristi che erano stati mandati in campo a un minuto dalla fine, con il compito preciso di battere Donnarumma. Il ventiduenne portiere non era d’accordo, e diventava l’eroe della serata, mettendo una pezza all’errore di Jorginho, che stavolta non aveva la freddezza dimostrata in semifinale dagli unici metri. Le lacrime di Mancini e Vialli a fine partite chiudevano un discorso che sarebbe troppo lungo da affrontare, e che condensa storie di umanità ed amicizia che vanno bel al di là della palla che rotola sull’erba. A proposito, l’Inghilterra perdeva una terza volta al momento della premiazione, quando i calciatori si sfilavano la medaglia del secondo posto, e abbandonavano lo stadio prima della premiazione dell’Italia. L’ultimo atto di antisportività di cui, francamente, abbiamo poco di cui preoccuparci. L’Italia è campione d’Europa, e la coppa l’ha alzata in faccia ai sessantamila di Wembley. Tutto il resto conta poco.
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