40 morti, di tutte le età, intere famiglie distrutte. Una comunità, Pozzuoli, rimasta sgomenta di fronte al dramma di tanti suoi concittadini. Due anni fa, era una domenica, un bus che trasportava pellegrini di ritorno da una gita a Telese e Pietrelcina, volò per decine di metri dal cavalcavia di Acqualonga, nel territorio di Monteforte Irpino: una strage. I freni del bus erano fuori uso, le carte del mezzo erano state falsificate, le barriere del cavalcavia inadeguate. Questi, si presume, i motivi alla base della tragedia sulla quale sta cercando di fare luce la magistratura. Così nel registro degli indagati sono finiti oltre ai titolari dell’agenzia viaggi, i vertici di società autostrade e alcuni funzionari della motorizzazione civile. A due anni di distanza il dolore è ancora vivo. Dolore, ma anche rabbia. Rabbia che è andata in scena alla prima del processo che si è aperto una decina di giorni fa ad Avellino, quando alcuni familiari delle vittime, al grido di ‘’assassino’’, hanno tentato di linciare Lametta, fratello dell’autista e proprietario del bus. Il processo riprenderà a settembre. I familiari non mancheranno di far sentore la loro presenza anche in futuro: croci bianche per ricordare le vittime. E poi striscioni con sopra scritto ‘’I 15 imputati non diventino famosi come Schettino’’. La paura è che quelle morti vengano dimenticate, che quel sacrificio sia stato inutile e, a due anni di distanza, non sia servito a mettere in sicurezza le autostrade italiane. In attesa di giustizia, di quella tragedia resta la solidarietà scattata immediatamente tra i comuni di Monteforte e Pozzuoli, testimoniata dalla presenza del sindaco irpino ai funerali. Resta quel sentimento che ti assale ogni volta che attraversi quel Viadotto, quando il pensiero va alla vita di quelle 40 persone, bruscamente interrotta. A quello che si poteva fare, per evitare una strage e che invece non si è fatto.
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